Pensiero e velocità d’azione.

Secondo alcuni scienziati, l’esperienza di volontà cosciente che precede l’azione è un falso, creato dal cervello.

In genere, di qualsiasi azione ci rendiamo responsabili, abbiamo la netta convinzione di averla fatta in base alla nostra volontà cosciente. Se diamo un calcio a una palla pensiamo che il calcio l’abbia dato il nostro piede e che il calcio sia stato preceduto dalla nostra decisione di darlo. Vero? Forse no: oggi la ricerca sembra dimostrare che gran parte delle nostre azioni “ci capitano” e che l’esperienza di volontà cosciente che precede 1’azione è in realtà un falso, generato dal cervello.

La sindrome della mano aliena
Il caso più clamoroso è stato scoperto studiando una malattia chiamata “sindrome della mano estranea”. Chi soffre di questa sindrome ha 1’impressione che una delle sue mani sia mossa da una volontà estranea. Come il paziente descritto nel 1989 in un articolo su Archives of Neurology: «Mentre in un’occasione giocava a scacchi, la mano sinistra fece una mossa che lui non voleva fare. La corresse con la mano destra. Allora la mano sinistra, con grande frustrazione del paziente, ripeté la mossa sbagliata. In altre occasioni egli girava le pagine di un libro con la destra mentre la sinistra cercava di chiuderlo; si sbarbava con la destra mentre la sinistra gli apriva la lampo della giacca…».

Per un verso, quindi, la mano estranea fa cose complicate, atti classificabili come volontari. Per 1’altro il paziente, il “proprietario” della volontà cosciente, non sente queste azioni come volute, tanto da attribuirle addirittura a entità diverse. Un caso per alcuni aspetti simile è quello dell’ipnosi, durante la quale la coscienza dell’azione è presente, ma sembra mancare la volontà. Chi viene ipnotizzato afferma infatti di sentire se stesso agire, ma senza partecipazione di volontà. Basta che l’ipnotista dica: «Il tuo braccio è pesante, molto pesante, sta diventando così pesante che non puoi resistere» perché ad alcuni il braccio si sposti senza che intervenga la volontà. Ma c’è sempre l’intervento della corteccia cerebrale.

Più veloci del pensiero
È studiando questi casi che gli scienziati si sono chiesti come si poteva fare per determinare se la volontà cosciente era o meno presente durante un’azione. Nei cartoni animati è semplice. A un certo punto si accende una lampadina sulla testa del personaggio che, dopo aver guardato prima a destra, poi a sinistra, si precipita a compiere 1’azione volontaria ideata. L’uomo non ha lampadine che si accendono sopra la testa, ma i ricercatori possiedono ora gli strumenti per vedere il succedersi delle varie fasi di una azione: l’elettromiografia, che misura il movimento muscolare, e l’Eeg o elettroencefalogramma, che misura 1’attività elettrica cerebrale.

È stato usando questi strumenti nell’analisi del movimento di un dito che Benjamin Libet, celebre fisiologo dell’Ucla di Los Angeles, ha capito, 10 anni fa, che circa 535 millisecondi prima del movimento del dito il cervello inizia a fare qualcosa di cui non abbiamo alcuna coscienza; che 204 millisecondi prima che il dito si muova arriva la coscienza di voler muovere il dito; 86 millisecondi prima arriva la coscienza che il dito si muove (ma il dito è ancora fermo), e infine si muove finalmente il dito. Insomma, nel cervello il movimento di un dito viene innescato da quello che i ricercatori chiamano RP, o readiness potential (potenziale di prontezza) che si verifica 331 millisecondi prima della volontà cosciente di muoverlo. In base a questo tipo di esperimenti, i ricercatori hanno dedotto che la volontà cosciente è un evento mentale causato da eventi precedenti e che nella realtà non innesca la decisione di fare un movimento volontario, ma è solo uno degli eventi di una cascata che alla fine porta al movimento.

I processi automatici
Tutto ciò è ancora più evidente nelle risposte automatiche, come premere l’acceleratore quando il semaforo diventa verde o frenare quando un’auto ci taglia la strada. Lì la reazione automatica ha luogo in 200-300 millisecondi e addirittura il movimento si verifica prima che la coscienza abbia preso nota dello stimolo. Eppure a posteriori siamo sicuri di aver voluto frenare. Sono più veloci della volontà cosciente anche i processi diventati automatici: un dattilografo digita 120 parole al minuto, cioè due parole al secondo. Per digitare la frase “due parole al secondo” ci vogliono 2 secondi, quindi in 500 millisecondi si digita una parola.

La digitazione, insomma, procede così veloce che non c’è spazio per la volontà cosciente, tanto che quando ci si accorge di aver fatto un errore, la frase è già finita. Lo stesso si verifica quando parliamo: la scelta dei vocaboli di solito non è cosciente, e non è cosciente neppure il tiro al volo del centravanti. Insomma, la volontà cosciente è la lumaca della situazione, arriva per ultima. Ma se non è la volontà, che cosa ci fa veramente agire?

La nostra firma
Secondo alcune ricerche, a farci agire in questi casi sarebbe direttamente l’inconscio. L’influenza dell’inconscio sulle azioni è stata dimostrata chiaramente nel 1996 studiando un gruppo di studenti universitari. Bastava fare un test in cui fossero presenti vocaboli tipici dell’invecchiamento come rugoso, brizzolato, pensionato, saggio e vecchio per indurre in questi studenti baldanzosi un passo rallentato rispetto a coetanei sottoposti a un test in cui non c’erano quei vocaboli. Basterebbe quindi pensare a chi cammina lentamente per camminare lentamente. Così come basta pensare di vincere per aver maggiori probabilità di successo. «A meno che si agisca molto, molto lentamente e ci si pensi sopra così tanto da farsi venire mal di testa, si è inevitabilmente portati a fare molte cose che non sono state coscientemente valutate» dice Daniel Wegner, docente di psicologia a Harvard.

Ma se la volontà non causa l’azione, a che serve? «È un segnale che assomiglia per molti versi a un’emozione: attraversa la mente e il corpo per darci la paternità delle nostre azioni» spiega Wegner. «Serve a segnare nella memoria le azioni che abbiamo identificato in questo modo. A riconoscerle come nostre. Ci aiuta a distinguere fra le cose che stiamo facendo e tutte le altre cose che si verificano intorno. E ha una funzione chiave nel dominio della morale e del successo. La sensazione che siamo autori del nostro agire è la base su cui valutiamo se ci siamo comportati bene o male. Ci dice dove siamo e ci fa sentire l’emozione appropriata alla moralità dell’azione che stiamo facendo: colpa, fierezza e altre emozioni morali non ci attanaglierebbero tanto se non sentissimo che abbiamo voluto compiere le azioni». Credit Focus

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